Quando e perché una comunicazione scritta diventa inefficace

Quando e perché una comunicazione scritta diventa inefficace

In questi ultimi mesi, ossia da quando i divieti e gli obblighi legati alla dichiarata pandemia si sono attenuati fino ad essere cancellati, si può notare come negli esercizi commerciali o negli uffici aperti al pubblico i vari cartelli riguardanti le mascherine, gli obblighi di distanza nonché le tracciature a terra, spesso non siano stati rimossi.

Tenuto conto di questa fotografia di vita quotidiana, mi interessa soffermarmi sul ruolo della comunicazione scritta e sull’impatto che può generare sulle persone se utilizzata in modo non corretto. D’altronde il tema della comunicazione è sempre piuttosto centrale nelle nostre vite perché, volenti o nolenti, siamo bombardati da informazioni di ogni genere che, anche se in background, lavorano sotto traccia nel nostro cervello creando una percezione della realtà spesso distorta.

Il perché cartelli o segni oramai obsoleti e che non forniscono più informazioni attuali e corrette sul comportamento da tenere in luoghi aperti al pubblico siano ancora oggi al loro posto apre ad un duplice ragionamento.

Il primo è l’atavico atteggiamento, tipicamente italiano, del “non si sa mai” che viene generato da un bias cognitivo conosciuto come la trappola della prudenza. Forse i titolari o i responsabili di queste attività od uffici temono ancora per un’eventuale multa che però, visto che il fondamento giuridico non è più in vigore, difficilmente potrebbe essere comminata.

Quindi una prima ragione è da ricercare nella vacuità della famosa certezza della pena che rappresenta un antico male del nostro comparto giustizia e che scivola in comportamenti eccessivi e paurosi. 

Il secondo motivo, forse più grave, è la completa assuefazione a dei messaggi che, purtroppo, sono entrati a far parte di noi dal marzo del 2020.

Sottolineo purtroppo perché, a mio parere, questo eccezionale modus operandi doveva essere certamente accettato in quel particolare momento, ma tenuto in vigore solo per i tempi strettamente necessari di risoluzione della problematica sanitaria; una volta terminata l’urgenza, infatti, sarebbe stato opportuno, da parte degli organi istituzionali preposti, comunicare di ritornare a stili di relazione col pubblico “normali”, fatto salvo casi particolari.

Cosa che non è avvenuta.

La mia idea è che, probabilmente, ci sia stata noncuranza e scarsa comprensione del concetto ampio di salute - leggi mentale - che tra l’altro ha avuto l’effetto indesiderato di generare, in alcune persone, idee complottistiche (che non mi sento però di condannare, non nel merito ma piuttosto nello sfogo).

Inoltre non va sottovalutato l'impatto di conformazione sociale che ha avuto tutta la narrazione pandemica e quindi il non prendere una posizione netta e minoritaria può creare una zona di comfort di facile praticabilità.

Possiamo quindi notare come quei cartelli lasciati appesi alle vetrine o nei muri interni, che tra l’altro non aiutano le politiche di visual merchandising tanto care agli esercizi commerciali, vengano ignorati da chi dovrebbe essere preposto ad occuparsene. E con un ulteriore risultato negativo di lungo periodo che mi accingo a descrivere.

Quando ero nella scuola militare per Marescialli dell’Arma dei Carabinieri in quel di Firenze - era il 1997 - mi rimase impressa una lezione di un alto ufficiale.

Il tema era il cosiddetto “Carabiniere in scatola”.

Ci raccontava, il Colonnello, che un giorno, in una tipica Stazione dei Carabinieri di campagna nel siciliano, entrando sulla destra vide che su un banchetto era appoggiata una vecchia macchina da scrivere, oramai sostituita dai pc. L’oggetto era in stato di abbandono da tempo, visto lo strato di polvere che lo ricopriva. Da qui l’idea del “Carabiniere in scatola”, cioè senza occhi: infatti ogni giorno, e chissà per quanto tempo, quella macchina da scrivere sarebbe rimasta nello stesso posto perché i carabinieri di quel presidio, semplicemente, non la vedevano più in quanto aveva fatto pendant con l’arredamento.

Cosa ci suggerisce tale aneddoto?

Che se una comunicazione scritta viene trattata come quella macchina da scrivere perde di efficacia e di significato e può generare anche una mancanza di fiducia da parte delle persone; ottenendo altresì il risultato, anche questo negativo, che qualora fosse necessario comunicare qualcosa ai propri clienti, o persone che devono accedere in determinate aree, tale sistema di comunicazione molto probabilmente sarebbe inidoneo e la famosa frase “Eppure c’è scritto!” sarebbe un’inutile esclamazione che precluderebbe un’analisi più approfondita ed efficace.

VZ

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