#5/2023 Cosa è la sostenibilità strategica? - Parte I

#5/2023 Cosa è la sostenibilità strategica? - Parte I

Si parla sempre di più di sostenibilità, di criteri ESG, di Agenda ONU 2030 e dei suoi 17 Goals (SDGs).

Ma ci siamo mai soffermati ad affrontare questi temi con la giusta profondità, scevri da pregiudizi, speculazioni o resistenze?

Facciamo un pò di chiarezza e cerchiamo di farci un'idea nostra.

Innanzitutto è un tema, per certi versi anche romantico, che riguarda l’attività aziendale nel senso stretto, quindi di business, e che si esplica in molteplici definizioni tutte più o meno corrette ma mai esaustive.

Perché oggi la sosteniblità è un concetto molto ampio e dinamico che si evolve naturalmente con l’avanzare della società.

Per i più curiosi che volessero informasi tramite documenti indico la prima volta che ufficialmente si è parlato di sostenibilità ed è stato nel 1987 con il Rapporto Brundtland.

Questo è, infatti, il primo momento storico in cui si comincia a parlare di questo tema, che risulta comunque quantomai attuale, perché si sostanzia l'argomento delle risorse disponibili e della capacità che abbiamo di utilizzarle senza eccederne il fabbisogno, e quindi di non sprecarle, soprattutto in previsione della necessità delle stesse per le generazioni future.

Questo passaggio però, per quanto avveniristico in quegli anni, vive di un misunderstanding di fondo legato al fatto che la sostenibilità era un concetto collegato solo all'ambiente. Il primo messaggio, quindi, che ritengo utile inviare è che nel 2023 non bisogna assimilare la sostenibilità unicamente con il tema ambientale, sarebbe un grave errore.

A sostegno di ciò ricordo che l’ultima settimana di settembre ero ad Assisi ad assistere all’evento Economic Challenge 2023, evento dedicato all’economia e alla sostenibilità d’impresa. Il moderatore, Sebastiano Barisoni nota voce radiofonica di Radio 24 e direttore del fortunato programma Focus Economia, difronte ad una platea di imprenditori, manager e consulenti ha dichiarato, senza mezzi termini e nel suo stile tranchant, che era necessario uscire dalla dicotomia sostenibilità = ambiente perché estremamente riduttiva del concetto. Non sbagliava.

Perché oggi la sostenibilità non è certamente una moda green ma piuttosto una strategia che ha lo scopo di far crescere il valore di un’azienda non solo per i clienti, come appare logico in relazione al profitto, ma che ha l'obiettivo di farlo crescere anche per tutti quei portatori di interessi, meglio conosciuti come stakeholder, che rendono l'azienda un eco-sistema ben funzionante.

Comprendere questo passaggio è determinante quanto comprendere che per attuare questo processo di sostenibilità bisogna conoscere in modo approfondito i criteri ESG, che sono i pilastri del processo stesso (di cui parlerò nel prossimo articolo).

Altro punto chiave è comprendere il ruolo della comunicazione.

E non solo, come pare logico, quello della comunicazione esterna verso i clienti piuttosto che altri stakeholder ma è soprattutto nella comunicazione interna che l’azienda deve fare un passo in avanti perché per arrivare alla sostenibilità strategica, e quindi non di mera facciata, è necessario compiere un’operazione per modificare la cultura aziendale, intesa come mindset. Questo percorso si inizia comunicando e utilizzando le tante opportunità che la tecnologia ci offre per rendere possibile una transizione culturale interna dove, oltre al Reparto Marketing, il ruolo delle Risorse Umane (HR) diventa focale. 

In ultimo, ma non meno importante, è necessario comprendere che il cosiddetto greenwashing va assolutamente evitato.

E, a questo punto, cos’è il famigerato greenwashing?

L’anglicismo è certamente mutuato da un concetto legato all’ambiente, come tradisce la parola green, ma trova l’origine nel whitewashing che altro non è che quella gettata di vernice bianca su di un muro per coprire le magagne piuttosto che risolvere un problema alla fonte.

Soluzione sintomatica vs soluzione causalistica.

In pratica è ciò che un’azienda mette in atto quando deve ripulirsi la coscienza da pratiche non proprio in linea con una filosofia etica o, peggio, per coprire azioni decisamente dannose per la collettività e per giunta compiute in malafede.

Ma qui mi interessa mettere l’accento non tanto su comportamenti deplorevoli, e volti al mero profitto “costi quel che costi”, ma sulle attività di greenwashing inconsapevoli perché osservando con attenzione il marketing e la comunicazione di molte imprese di diverse dimensioni sono in tantissime oggi che sono convinte di portare avanti un processo di sostenibilità solo perché, magari, colorano di verde il loro sito o mettono una fogliolina nella loro brochure o, ancora, dichiarano in modo pomposo la raccolta differenziata o piantano alberi per ridurre la CO2 prodotta, per non parlare di chi prova a bilanciare la popolazione aziendale tra i diversi generi senza badare ai ruoli o al gender pay gap o fare politiche di de&i solo per fini propagandistici.

Ecco, tali aziende è probabile che non si rendano conto che queste, per quanto corrette da un punto di vista tecnico, sono azioni uniche e non integrate in un processo di sostenibilità che generi valore per loro e per gli stakeholder. E’ un pò come quando un imprenditore si comporta in modo filantropico o concede dei benefit ai propri dipendenti senza magari attuare quelle politiche di welfare, che entrano di diritto nel processo di sostenibilità, e che accrescono il valore di un’azienda anche da un punto di vista dei dipendenti.

Abbiamo quindi difronte un problema di cultura e conoscenza.

Segue II parte - giovedì 26 ottobre 

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